Di Jonathan Cook
8 settembre 2015
Banjamin Netanyahu di Israele, è riluttante a scontrarsi con la Casa Bianca, anche se
si troverà davanti a una sconfitta quasi sicura tentando di bloccare il patto del presidente Barack Obama con l’Iran.
La settimana scorsa, quando è stato chiaro che non avrebbe potuto raccogliere voti sufficienti al Senato per bloccare un veto presidenziale, Netanyahu ha fatto partire un altro pugno. Ha osservato che “la schiacciante maggioranza del pubblico americano vede le cose allo stesso modo di Israele” non del loro presidente.
Secondo i sondaggi, una ristretta maggioranza di americani rifiuta l’accordo con l’Iran.
Gli americani comuni, però potrebbero essere sorpresi di apprendere che la politica inflessibile di Netanyahu riguardo all’Iran è stata per lungo tempo considerata non plausibile e controproducente in patria, tra i suoi funzionari della sicurezza.
Quel verdetto è stato sottolineato dalle più recenti rivelazioni di Ehud Barak, che è stato ministro della difesa negli anni critici in cui Israele faceva pressioni per un attacco all’Iran.
Dei nastri fatti trapelare e nei quali Barak parla ai biografi, fanno pensare che lui e Netanyahu abbiano fatto pressioni senza successo per tre volte, tra il 2010 e il 2012 affinché l’esercito israeliano lanciasse un attacco.
Ogni volta, dice Barak, sono tali attacchi stati sventati o perché l’esercito non è riuscito a presentare un piano fattibile o a causa della reticenza di ministri amici quando hanno saputo delle probabili conseguenze negative.
A Washington Netanyahu si è presentato come Cassandra, la solitaria profetessa di disastri. Le sue predizioni catastrofiche si erano basate su due ipotesi.
La prima ritiene che l’Iran sia una replica della Germania nazista in Medio Oriente. L’obiettivo unico dei suoi leader è di commettere un olocausto nucleare contro i loro nemici, con Ebrei e Israele in cima alla lista.
Queste dichiarazioni dovrebbero sembrare credibili soltanto ai lealisti israeliani e ai creduloni. Come mai diecine di ebrei iraniani vivono pacificamente nella pancia della bestia? E i leader dell’Iran sono davvero suicidi e anche fanatici, considerato il loro arsenale militare non dichiarato?
La seconda ipotesi è diventata un articolo di fede per la maggior parte dei decisori politici occidentali: che l’Iran sta attivamente tentando di costruire un’arma nucleare. E’ facile dimenticare che molti esperti, e le agenzie occidentali di intelligence dubitano che questo non è successo da più di un decennio.
Con queste premesse inconsistenti Netanyahu ha costruito una conclusione ugualmente dubbio: non ci può essere negoziato con il male.
Data la sua precaria posizione di sfida a un presidente statunitense, Netanyahu è stato riservato quando ha spiegato quale alternativa pensa che Washington avrebbe dovuto perseguire invece dell’attuale accordo con l’Iran.
Nel tentativo di evitare che i critici si accorgessero della mancanza di una reale strategia, ha anche fatto capire che non si oppone per principio che al fatto di permettere all’Iran un programma nucleare a scopi civili.
Ma se l’Iran è davvero la Germania nazista, o semplicemente sta sfruttando la sua ricerca di energia per raggiungere la soglia di sviluppare una bomba, come affermano i critici più cauti, come può Netanyahu prendere in considerazione di aprire quella particolare porta all’Iran?
La verità è che Netanyahu disapprova qualsiasi accordo. Preferirebbe un’intensificazione delle sanzioni, costringendo così l’Iran a uscire dal Trattato di Non Proliferazione e di nascondere la sua ricerca nucleare a qualsiasi indagine.
Allora i suoi avvertimenti sembrerebbero più convincente come lo sarebbero anche le sue richieste che gli Stati Uniti conducano un attacco all’Iran.
Soprattutto, Netanyahu desidera prevenire un riavvicinamento tra Stati Uniti e Teheran che potrebbe indebolire la presa di Israele sulla politica di Washington per il Medio Oriente e incrementare la pressione per un reale processo di pace con i palestinesi.
Nel frattempo i commenti di Barak che sono trapelati, hanno danneggiato tutte le persone coinvolte. L’ex ministro della difesa è stato pubblicamente rimproverato di essere un pettegolo, e Netanyahu è stato deriso per essere stato così inefficace che il suo gabinetto lo ha sdegnato per quello che dichiarava fosse il momento più disastroso nella storia di Israele.
Ma l’importanza duratura dei nastri – qualsiasi fossero gli abbellimenti fatti da Barak nel parlarne – è che essi confermano anni di indizi da parte dell’establishment della sicurezza di Israele che questa era stata inflessibile di fronte all’approccio incauto di Netanyahu con l’Iran.
Da Mei Dagan, l’ex capo delle spie del Mossad, a Gabi Ashkenazi, l’ex capo militare dello staff, l’elite della sicurezza ha accennato con forza che stava bloccando i tentativi di Netanyahu di provocare una deflagrazione nucleare.
Anche l’opposizione era così e si potrebbe sospettare che perfino Netanyahu e Barak cominciassero ad avere dei dubbi. Se avessero realmente creduto che Israele avrebbe potuto essere salvata soltanto bombardando l’Iran, non avrebbero smosso le montagne per convincere il gabinetto e l’establishment della difesa?
Più probabilmente, Netanyahu, qualche tempo fa aveva concluso che Israele non aveva alcuna opzione militare contro l’Iran.
Perché, quindi, combattere fino alla fine una battaglia contro l’Iran destinata all’insuccesso, danneggiando quindi ulteriormente i legami già logori di Israele con Washington?
Indubbiamente, Netanyahu si aspetta di estorcere altre concessioni alla Casa Bianca, dai miglioramenti ai suoi sistemi di armamenti forniti dagli Stati uniti fino alle garanzie americane di protezione diplomatica nei forum internazionali.
Netanyahu, però, spera in qualcosa di più.
La settimana scorsa i media israeliani hanno citato fonti vicine a Netanyahu secondo le quali egli sapeva che avrebbe perduto dall’inizio nell’accordo con l’Iran, ma che comunque continuava .
Lo scopo era convincere il pubblico americano, non i deputati Democratici.
L’attuale spacconata di Netanyahu comincia a sembrare mirata meno all’accordo nucleare che al Presidente Obama stesso.
Netanyahu spera di trasformare il problema con l’Iran in un’arma elettorale contro i Democratici, aiutando a spianare la strada per la Casa Bianca a un Repubblicano nel prossimo anno.
In questo modo Netanyhau potrebbe credere di potere ancora venirne fuori vincitore, con un nuovo presidente interventista, pronto a respingere l’Iran verso la mira degli Stati Uniti.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books). Il suo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/netanyahu-aims-at-his-wmd-at-Obama
Originale : non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0